domenica 30 novembre 2008

[fantascienza] Il classico: Il Cervello Rosso (The Red Brain - 1927) - di Donald Wandrei (1908-1987)

La letteratura post-moderna è ricchissima di ibridazioni tra generi, di giochi spesso funambolici a mischiare le carte. Si nutre della commistione insistita, compiaciuta, ricercata tra letteratura "alta" e appunto gli stilemi di quella di genere, affermatasi nelle sue varie categorie soprattutto a partire dal XIX secolo. I generi, è chiaro, sono solo comode etichette commerciali, che creano immediata riconoscibilità da parte di tipologie di lettori, troppo spesso irreggimentati; letteratura resta, basicamente, l'arte di raccontare scrivendo, il resto è marketing; il discrimine è la capacità di raccontare di ciascuno scrittore. La letteratura è anche come il maiale: "nun se butta via gnente". Non solo le idee alla fin fine sono quelle, e quel che fa chi scrive è variare sul tema (ma per uscire dal recinto letterario, quando Beethoven prese i pezzi di un tizio abbastanza oscuro e ne compose le "Variazioni Diabelli", creò uno dei capolavori della musica pianistica), ma anche certi fenomeni sono ricorrenti, seppur mutevoli. Oggi osserviamo compiacimento ricercato, scelta
consapevole di metaletteratura, richiesta di complicità al lettore nell'immergersi insieme all'autore nei ricordi condivisi delle storie ribollenti di genere lette negli anni giovanili e costituenti un vero e proprio DNA di lettura della specie: a volte, in mani poco sicure, il tutto è troppo intellettualmente gelido, o, peggio, si risolve in furbesco ammiccamento a un lettore da trasformare in fan (penso a un fumetto come John Doe). Un tempo, la cosa accadeva, molto
semplicemente. Soprattutto prima che certe barriere commerciali si calcificassero o quasi, gli scrittori di letteratura "bassa", "popolare", facevano uso di ogni risorsa stilistica e narrativa per scrivere la storia a effetto, che facesse presa sul lettore. O fosse almeno abbastanza buona per
un direttore di rivista abbastanza disperato da indurlo a comprarla.



"The Red Brain", scritta da un esordiente diciannovenne americano, Donald Wandrei, è indiscutibilmente una storia di fantascienza, e ortodossa. Ma non solo. Wandrei utilizza per tutta la parte introduttiva una prosa epica, evocativa e ricca di fascino, degna della migliore fantasy, perfetta per creare il senso di remotezza spaziale e temporale dell'ambientazione scelta, la galassia, forse il cosmo intero in un futuro lontano oltre l'immaginazione, dove non vi è traccia alcuna dell'Uomo, e al cospetto di
una minaccia totalizzante e trascendente, inconoscibile e onnipotente: una situazione classica ancora una volta di molta fantasy. Così come l'orrorifico scioglimento della vicenda, a un tempo cupo e sardonico, è attentamente preparato dalla scelta del registro stilistico e dalla
sottolineatura anche insistita su certe situazioni e parole. La misura del grottesco permea e plasma tutta la storia, che infatti funziona anche come fulminante meccanismo horror. Non a caso fu pubblicata sulla rivista Weird Tales, che appunto presentava storie "weird": bizzarre, strane. Soprattutto "de paura", è chiaro, ma che pascolavano in tutti i generi, mischiandoli
alla grande: del resto nel 1927 la fantascienza intesa come genere commerciale consapevole di una propria specificità lanciava appena i primi vagiti, mentre di gente che scriveva fantascienza, senza bisogno di darle un nome, ve ne era stata da un secolo abbondante almeno. Il racconto pecca a tratti di una certa enfaticità e ripetitività (ma Wandrei era pur sempre un accolito di Lovecraft), e il finale appare forse un po' sbrigativo in rapporto alla meticolosa elaborazione dell'evento; non si tratta infatti di una cosiddetta "sentinella", di un racconto cioè che nel finale ribalta il punto di vista fatto credere al lettore per tutta la storia, ma di un finale che giunge come logica e inevitabile (ma non per questo meno terrorizzante) conclusione degli indizi disseminati dall'autore. Difetti scusabili in un ragazzo al suo primo successo di vendita nell'economia di un breve racconto che colpisce forte la fantasia del lettore, una storia che "acchiappa". E'
un peccato che in un paio di decenni di carriera - poi smise praticamente di scrivere - Wandrei non abbia più raggiunto risultati altrettanto convincenti. La maggior forza di certe storie risiede poi nel loro oltrepassare, anche largamente, gli intendimenti e obiettivi contingenti del loro autore, i mezzi intellettuali di questi, e gli orizzonti dell'epoca in cui sono scritte. Di trovare nel tempo, insomma, significati che sicuramente non avevano e mai si era inteso dare loro, attagliandosi a nuove situazioni, anche completamente sconosciute e imprevedibili al momento della loro elaborazione. "Il Cervello Rosso" è senza dubbio uno di questi racconti: al di là del suo scopo evidente e probabilmente il solo consapevole di creare una storia di gusto lovecraftiano, una cosmogonia maestosa e raccapricciante a un tempo, non è difficile pensare che nell'immaginare il folle Cervello Rosso del titolo e nel presentarlo come una sorta di "Uomo del destino" su scala cosmica il giovanissimo Wandrei sia stato influenzato da quanto accadeva in quegli anni in Europa, e non solo. Una lettura politica scontata, anche se dubito fortemente che potesse essere una scelta critica conscia. Oggi che uomini del destino di tutti i tipi spuntano nuovamente come funghi, dagli sceicchi yemeniti ad altri più abili nell'arte del mascherarsi, è impossibile sottrarsi all'effetto di gelo che dà la lettura del racconto della fine di coloro che prestano fede al Cervello Rosso; e l'inevitabilità del loro destino non è comunque di consolazione. Ma il lettore moderno non può non subire il fascino anche di altre interpretazioni che egli può dare oggi: nell'evolversi della cultura dei Cervelli vi è la stigmatizzazione di una cultura scientifica tesa solo al proprio accumulo di conoscenza e potere (e se una certa fobia della scienza è presente in molti autori di sf figuriamoci in un allievo di HPL, che qui risente probabilmente di qualche eco del Moreau wellsiano), ma è facile vedervi oggi una specificità sui rischi della manipolazione genetica. E ugualmente possiamo mutuare dal collasso della rete neurale dei Cervelli la nostra paura del collasso della rete informatica, sempre più interconnessa come erano interconnessi - e quindi fragili - quelli.

Il racconto è stato pubblicato molte volte in Italia, l'ultima nel volume speciale di Urania "Red Brain", supplemento al n.1497 (Creeps by night: http://www.fantascienza.net/uraniandco/pcurio0509.html), dove l'ho letto, un'antologia a tema curata nel 1931 da Dashiell Hammett.

6 commenti:

U carcamagnu ha detto...

non vorrei che la grafica di questo sito fosse troppo vivace. dovresti adottarne una più sobria...:-)

scherzi a parte, Vincz, e quando lo dici agli amici di ubbicì?

io ti ho già linkato sul minKia, ciao!

Vincenzo Oliva ha detto...

Be', per ora ho postato soltanto qualcosa che hanno già letto, quando arriverò a cose nuove lo farò senza meno!

Per la grafica... troppo essenziale? :-PPPP

V.

Muasie ha detto...

Bene, bene! Il primo passo è fatto e ora, temo, dovrai dedicarci un poco di tempo. ;-)Giusto il testo... ecco, avrebbe bisogno di una sistematina...Al lavoro, dunque :-PPPP

Vincenzo Oliva ha detto...

Eh, in effetti, prima o poi imparerò anche a dare una forma decente ai post :-PPP

V.

philip shea ha detto...

Molto prima di leggere Ulisse e di tentare di leggere L'Uomo senza caratteristiche*, sapevo che non si trattava di letteratura ma di meta-letteratura

* in italiano il titolo e' sbagliato e fuorviante

Vincenzo Oliva ha detto...

La metaletteratura è affascinante, purché ci si rammenti che per esserci, deve esservi una letteratura che la preceda e la giustifichi.

Per il titolo mi rimetto a te, fine germanista.

V.