sabato 19 settembre 2009

[fantascienza] Retrofuturo (1999) di Vittorio Curtoni (n.1949)

Un recupero d'annata: queste impressioni le scrissi di getto più di dieci anni fa, dopo la lettura del libro, e le postai sul newsgroup it.cultura.fantascienza; poco dopo Silvio Sosio mi invitò a pubblicarle su Delos: http://www.fantascienza.com/delos/delos45/retro2.html. Le ripropongo con un minimo di ripulitura.

Piacere, angoscia, dolore, felicità. Queste ed altre sensazioni si mescolano, si alternano, si scambiano le parti nella lettura di questo libro, uno dei più intensi che mi sia capitato di leggere. E un evento per la fantascienza italiana, dato che Vittorio Curtoni è così avaro dei suoi sogni ed incubi e distilla le sue storie col contagocce, quasi sadicamente. Del resto tutti i racconti di questa antologia tranne uno erano già stati pubblicati negli anni passati; quindi anche in questa occasione il nostro ci appare avaro della sua arte - perchè la scrittura di Curtoni e' arte: uno dei pochi autori di sf che mi diano questa sensazione. Ma un'antologia strutturata come lo è questa, con la presentazione cronologica dei racconti, accompagnati dalle riflessioni dell'autore a fare da tessuto connettivo, è di per sè una novità, permettendo di ripercorrere passo passo il cammino umano e artistico dell'autore, di coglierne l'evoluzione. Molti dei racconti, infatti, avevo già avuto occasione di leggerli; ad esempio i tre tratti dalla sua antologia La sindrome lunare di parecchi anni fa, all'epoca mal compresi, per inesperienza o per chissà quale motivo.

Rileggerli oggi, insieme agli altri, fornisce una nuova prospettiva e permette di cogliere il rigore e la dignità di ciascuno; e la coerenza del disegno d'insieme che da trent'anni Curtoni sta costruendo con i suoi sparsi racconti.

Un tema su tutti sembra percorrere quasi la totalità degli scritti raccolti: il Tempo, e la sua fedele compagna: la Memoria. Tempo che si rincorre, si confonde, si sfalda e si ricompatta. Curtoni attinge dal passato per parlarci del presente attraverso gli occhi del futuro, come nel racconto Il tempo dell'astronave, un vero e proprio manifesto sull'intrecciarsi dei tempi della memoria (oltre che riflessione sulle paure, le pigrizie, ma anche la dignità dell'umanità). Ma la prospettiva è cangiante, e dopo un attimo diventa l'uomo del futuro che ci parla del passato attraverso gli occhi del presente; come in uno dei racconti più belli della raccolta: La dignità della volpe, dove per un attimo, proprio il rigoroso Curtoni sembra arrendersi alla facile tentazione della retorica e del moralismo a buon mercato. Ma è solo un bagliore ingannevole. Con una brusca sterzata si riprende e ritrova intatta la sua lucidità e la sua voglia di incazzarsi (e lui per primo si definisce incazzogeno in una delle riflessioni che accompagnano la lettura dell'antologia). E la perdita della memoria, intesa come incapacità dell'uomo di conservare la cognizione della propria
umanità, abbandonandosi alla narcosi ed al conformismo dell'omologazione delle coscienze, è al centro de La sindrome lunare - a distanza di tanti anni, forse ancora il suo racconto più lucido e forte.

C'è una definizione che Stanislaw Lem coniò per Philip Dick, l'unico autore americano che egli stimasse: visionario tra i ciarlatani; ebbene credo che questa definizione si adatti perfettamente anche a Curtoni.

Molti altri temi sono poi presenti, e la struttura cronologica del libro permette di coglierne l'evoluzione con l'evolversi dell'uomo Curtoni; che accetta - attraverso le sue opere - di svelarsi completamente. Come in Dal rabbino, cronaca trasposta di una serata tra amici, ma nella quale Curtoni riversa tutta la forza della sua capacità di riflessione sui bisogni, le pulsioni, gli amori, le debolezze e i punti di forza dell'uomo. E la struttura cronologica ci mostra la crescita di Curtoni uomo: dalla violenza, verbale e concettuale, degli esordi - rappresentata da un racconto come L'esplosione del minotauro, che colpisce l'immaginazione con tutta la sua carica di violenza del rapporto irrisolto con la figura paterna; conflitto portato alle sue estreme conseguenze - alla rasserenata pacatezza degli ultimi racconti. Pacatezza che non vuol dire perdita della capacità di indignarsi; chè quella rimane sempre presente, ma piuttosto pacatezza verbale, dell'uomo che ha preso coscienza della finitezza dell'Uomo, senza rinunciare a denunciarla, questa finitezza. E senza rinunciare a far sentire - occasionalmente - tutta la forza degli esordi, come si vede nell'ultimo racconto, l'unico inedito: Ti vedo, la cui carica di violenza non e' certo inferiore a quel primo L'esplosione del minotauro, a chiudere simbolicamente il circolo del Tempo: con il presente che va a ricongiungersi col passato, per parlarci ancora una volta del nostro futuro. Ma solo fino alla prossima volta, quando i termini cambieranno di posto nuovamente...

E' tempo sicuramente che questo libro sia ristampato.

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