venerdì 16 ottobre 2009

[fantascienza] I contemporanei - Giza (Id.2003), di Joe Haldeman (1943- )













E' un piccolo racconto di un grande della fantascienza. Piccolo per brevità: nelle sue poche pagine è un ottimo esempio dello stile e della personalità narrativa di un autore che sa amalgamare al meglio riflessione politica e sociale, grande avventura e ironia.
E che scrive con l'eleganza e la chiarezza di una nitida asciuttezza di stile e linguaggio.

Joe Haldeman pubblicava da qualche anno quando, nel 1975, il suo primo romanzo di fantascienza, Guerra eterna, lo proiettò nell'olimpo degli scrittori più stimati del campo. Il romanzo, cui molti anni dopo darà dei seguiti, è una delle opere più interessanti della letteratura militare, spesso indicato come contraltare a Fanteria dello spazio di Robert Heinlein. Oltre a essere uno dei veri classici della sf. Haldeman lo scrisse ispirandosi alla sua esperienza di geniere decorato nella guerra del Vietnam, e il libro riflette tutto il suo analitico disincanto sulla guerra; ed è inoltre un testo ricco di avventura e soffuso di acuta ironia, come accennavo a proposito delle caratteristiche del Nostro. Nei decenni successivi Haldeman ha costantemente confermato la sua statura e il successo di stima e di pubblico per le sue opere, tra le quali negli ultimi anni si è segnalato il romanzo I Protomorfi, pubblicato in Italia all'inizio dello scorso anno su Urania, una delle più interessanti storie di invasione aliena che abbia letto, nonostante un finale - proprio l'ultima pagina - che appare stonato rispetto a quanto visto fin lì. Ma una rilettura si impone per una valutazione più attenta.
Autore soprattutto di romanzi, Haldeman non ha scritto moltissimi racconti, seppure in una carriera ormai quarantennale il loro numero sia ormai abbastanza nutrito. Giza è stato pubblicato in origine sull'Isaac Asimov's Science Fiction Magazine, e poi raccolto nella sua attualmente ultima antologia edita: A separate war and other stories, che accoglie anche la breve novella eponima, ultimo capitolo a oggi del ciclo della Guerra Eterna. Il volume è stato tradotto in Italia come Guerra eterna: ultimo atto e pubblicato a febbraio su Urania n.1543, ottimo tassello dell'eccellente annata 2009 della rivista.

Il racconto non ha nulla a che fare con l'Egitto dei Faraoni. Giza è il termine con il quale preferiscono identificarsi i "fantasmi", esseri umani geneticamente progettati per la vita nello spazio. Nella seconda metà del XXI secolo la scienza genetica e la logica del profitto economico hanno concluso un ferreo matrimonio, che va a saldarsi con le aspirazioni di rivalsa e le bizzarrie della psicologia umana: nella Spagna, far-west della manipolazione genetica, molti Baschi accettano di sottoporre la propria prole alle profonde modificazioni genetiche necessarie a creare una specie umana in grado di lavorare e vivere stabilmente nello spazio su asteroidi-miniera; una variante di veri e propri freaks dal punto di vista fisico, umani del tutto inadatti alla vita sulla Terra. Bisogno di distinguersi, desiderio di riscatto etnico e storico, aspirazione alla conquista della frontiera ultima: motivazioni che si intrecciano e uniscono alla centralità della diversità nella definizione della propria identità di nazione. Isolamento e separatezza, luoghi psicologici prima e molto più che fisici per una popolazione che la separatezza e l'isolamento sperimenta da diverse migliaia di anni, da quando sono rimasti i sopravvissuti preindoeuropei all'espansione indoeuropea nel nostro continente. La realtà che andranno a vivere sarà meno rosea ed esaltante di quanto i genitori della prima generazione di "fantasmi" baschi sperassero per i figli. Ma tuttavia la vita sull'asteroide ferroso Quetzalcoatl non si tradurrà in una realtà troppo cattiva.

In poche pagine, quasi poche righe, Haldeman condensa un piccolo saggio di psicologia sociale ed etnologia. In estrema sintesi, ma in modo chiaro e articolato, osserviamo le dinamiche sociali che sviluppano i giza attraverso le generazioni. Il rifiorire dell'ancestrale religione basca con i suoi riti; lo sviluppo di un'agricoltura di sussistenza a fianco del florido interscambio commerciale con la Terra e dello sfruttamento sempre più intenso del planetoide dovuto anche, in un vero e proprio loop, alla sovrappopolazione; la divaricazione in caste della società giza, pur priva di conflitti sociali, che conduce allo sfruttamento, da parte degli strati sociali che controllano la sofisticata tecnologia mineraria, del ceto più basso e oppresso dalla sovrappopolazione. Particolarmente ai fini di un vero e proprio turismo della morbosità, che accelera il primitivizzarsi della loro cultura: ovviamente più essi appaiono strani e primitivi, più turisti attirano, e quindi anche qui si innesca il circolo vizioso. Si combinano gli effetti di isolamento culturale e scambi a senso unico e sbilanciati, di frugalità e peculiare agiatezza, di arretratezza intellettuale e sociale e almeno entro certi limiti di tecnologia altamente evoluta. Fenomeni non troppo dissimili da quelli che storia e cronaca possono mostrarci. La diversa alimenta sé stessa.
Per generazioni la vita dei giza sarà via via più caratterizzata da questa tendenza allo scorrere su un doppio binario di sottosviluppo e di sviluppo. Non una vita troppo buona, ma certamente non una vita così cattiva. Di sicuro una vita per la quale essi erano adatt(at)i.

Poi, la nona generazione si scoprirà sterile in ogni suo individuo. Che ciò fosse stato pianificato dall'inizio o si trattasse del risultato di un errore dei genetisti progettatori ha poca importanza: quel che Haldeman pare riassumere è che per i propri (gli eterni) fini economici la nostra civiltà plasma, modifica, brutalizza le culture (e divora i propri figli). Scientemente o per superficialità, i risultati non cambiano: siamo vittime di una coazione a ripeterci. La conclusione del racconto sarà tanto lucidamente amara (sul piano più generale della dimensione umana tutta) quanto beffardamente cinica (su quello dell'aderenza ai modelli psicologici di popolazioni peculiari). L'ombra del periodo in cui Haldeman scrisse il racconto, alla metà di settembre 2001, è innegabile. Speriamo non sia una conclusione profetica.

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