domenica 10 gennaio 2010

Futuri assai passati/passati assai futuri



Mi è capitato di recente, nel corso di una discussione online su un blog, di imbattermi in una di quelle deliziose affermazioni dogmatiche che con allegra spensieratezza ignorano gioiose la realtà storica; ovvero che la fantascienza, imprescindibilmente, si occuperebbe di e baserebbe sul futuro. Ovvio è che, essendo la sf la letteratura della possibilità, essa abbia come locus privilegiato l’immaginazione del nostro futuro; ma volendo porre la cosa come dogma imprescindibile (è questo l’errore) ci si consegna all’abbraccio mortale dell’allegra spensieratezza: la fantascienza, praticamente da quando è nata e si è riconosciuta come tale, si occupa non meno di riscrivere, reinventare e inventare tout court il passato. Questo è ancor più ovvio: se la sf ha una base, essa è certamente da rinvenire nel what if…, e inoltrare la propria immaginazione nel passato per riplasmarlo e piegarlo alla nostra volontà o al puro uzzolo è forse perfino più gustoso che non profetizzare il futuro (nostra volontà è ovviamente quella dello scrittore). Insomma, facciamo attenzione a non mutare una naturale preferenza in apodittica statuizione. Ucronia, storia alternativa e simili rientrano a pieno titolo nella sf, e pour cause.

Qui di seguito propongo una carrellata di romanzi che, da dogma, non sono fantascienza; ma che, curiosamente, da sempre gli appassionati e gli addetti ai lavori classificano per tale. L’ordine è cronologico tranne che per il primo, che in certo senso è una metaucronia e si pone a base teorica.

Al solito, si tratta di un elenco puramente indicativo, esistono molti altri eccellenti romanzi sull’argomento che ometto per ovvii motivi di spazio e per evitare troppe ripetizioni su un argomento.

La fine dell’Eternità (The end of Eternity, 1955)
di
Isaac Asimov (1920-1992)


Gli Eterni manipolano la Storia dell’uomo. Passato, presente, futuro: nulla rimane intentato perché lo sviluppo dell’umanità sia quello scolpito a chiare lettere nell’Eternità; o meglio quello continuamente riscritto e sovrascritto sull’Eternità, affinché la storia umana sia perfetta, asettica, controllata in ogni suo minimo dettaglio. Finché Anrew Harlan, un tecnico dell’Eternità - e l’amore - si metteranno di mezzo e incepperanno il ben oliato meccanismo. E il Destino tornerà libero nelle mani degli uomini.


L’abisso del passato (Lest darkness fall, 1939)
di
L. Sprague de Camp (1907-2000)



Il romanzo di de Camp è uno dei più venerabili classici del sub-genere variamente articolato su passati alternativi e simili. E classicissima è la situazione di partenza che vede un uomo del nostro tempo sbalzato improvvisamente nel passato. Qui, è la Roma dell’alto medioevo, ancora non genuinamente nell’Età di Mezzo, ma non più del tutto tardoimperiale: un ibrido dove la vita è sicuramente “interessante”. Per sopravvivere il protagonista dovrà ingegnarsi, e ingegnandosi cambiare le cose… l’avventuroso prevale, insieme alla grande maestria dell’autore nell’avvincere il lettore con intelligenza.


Anniversario fatale (Bring the jubilee, 1953)
di
Ward Moore (1903-1978)

Opera di uno degli scrittori in Italia più – ingiustamente – ignorati della fantascienza americana, questo romanzo è un purissimo esempio di what if. Cosa sarebbe successo se nel corso della Guerra Civile americana (comunemente nota come Guerra di Secessione) la battaglia di Gettysburg fosse andata – come in effetti avrebbe potuto – diversamente? Lo scoprirà McCormick, uno storico di professione che fa un viaggio temporale all’epoca della battaglia per compiere degli studi sul campo e, venendosi a creare una situazione incresciosa per la quale muta i destini dello scontro, crea una linea temporale in cui è stato il Nord a vincere la Guerra


La svastica sul sole (The man in the high castle, 1962)
di
Philip K. Dick (1928-1982)

Il romanzo è uno dei più celebri e celebrati di Dick, e gli valse l’unico premio Hugo ricevuto in carriera (vergogna per i votanti ai premi Hugo). E’ forse il testo più famoso di quel fiorentissimo segmento ucronico dedicato alla vittoria del Nazionalsocialismo nella II Guerra Mondiale. Dick, prevedibilmente, non si limita all’aspetto esteriore, ma scava a fondo nei meccanismi sociali e mentali che caratterizzano e sono indotti dal nazismo, intessendo il tema con quelli a lui cari della frantumazione del reale e della labilità della realtà stessa.


INRI (Behold the Man, 1966-69)
di
Michael Moorcock (n.1939)


INRI è il romanzo che Moorcock ricavò espandendo la sua novella del 1966 Ecce Homo. Per certi versi, è una meta storia alternativa come il romanzo asimoviano che apre la parata. Profondamente dissacrante nella forma – l’autore britannico non risparmia nessuna prevedibile presa per i fondelli della sacra famiglia della religione cristiana, compreso un Gesù mentalmente disabile – il romanzo (e la novella in precedenza) possiede però un poderoso nucleo filosofico che lo innalza ben al di sopra della satira ben fatta: qual è il senso del mito soteriologico del Messia? E più in generale, la realtà storica è davvero decisiva perché un mito abbia senso? Quando, insomma, Karl Glogauer, il pazzoide protagonista del romanzo, giunto dal nostro presente nella Palestina dei tempi di Pilato, ossessionato dal suo complesso messianico prende il posto del Gesù “reale” e ripercorre passo per passo, per quanto è nella sua memoria, la vita del Gesù dei vangeli, il lascito mitico e dottrinario del cristianesimo perde di significato perché Karl non smette di essere lo psicotico che è neppure quando arriva fino in fondo, assumendo su di sé anche il calvario?


Pavana (Pavane, 1968)
di
Keith Roberts (1935-2000)

 Con l’eleganza formale e lo stile raffinato fino all’occasionale lirismo che gli sono proprii, lo scrittore britannico costruisce ex novo in Pavana la storia europea e mondiale dal XVII secolo in avanti, a partire dalla caduta dell’Inghilterra elisabettiana nelle mani della Spagna di Filippo II. Lo scenario da brivido (se non da incubo) che Roberts illustra con dovizia di analisi e spassionato “realismo” appare non tanto come un esercizio di immaginoso stile, ma un monito a fare attenzione a ciò che ancora può accadere. Scritto al ritmo solenne di una pavana (http://it.wikipedia.org/wiki/Pavana).


Aquiliade (The Aquiliad, 1983)
di
Somtow Sucharitkul (n.1952)

 Si può anche buttarla in pochade, naturalmente. Aquiliade (si tratta del primo romanzo di una serie, della quale in Italia si sono visti i primi due atti) narra del povero Tito Papiniano, aristocratico romano un po’ decaduto che si trova sbattuto dal suo signore e imperatore nel più lontano e bizzarro avamposto dell’Impero, la Lacotia: l’America insomma. Perché e percome gli antichi romani siano giunti nel continente oltre l’Atlantico verrà rivelato in seguito. Nel frattempo al buon Papiniano accadrà ogni genere di stramba avventura e sarà tiranneggiato da figure improbabili come il saggio nativo Aquila e la sua assurda moglie Oenothea. Non inganni il nome dell’autore, originario della Thailandia è comunque in tutto e per tutto uno scrittore di fantascienza a stelle e strisce.


Basil Argyros, agente dell’Impero di Bisanzio (Agent of Byzantium, 1994)
di
Harry Turtledove (n.1949)


Dal maestro di storia alternativa della fantascienza contemporanea abbiamo una deliziosa antologia di racconti su una Bisanzio che non ha mai dovuto fronteggiare le armi arabe e, dopo secoli e nei secoli dei secoli, continua a farsi la forca con la Persia, eredità del conflitto che già oppose gli iranici ai romani. Basil Argyros è un agente segreto della potenza greca, e Turtledove gli costruisce attorno uno scenario che rende perfettamente verosimile la sua narrazione di… spy story molto alternativa.


Il nostro agente in Giudea, 2000
di
Franco Mimmi (n.1942)

 Ufficialmente, questo romanzo è un giallo, e non a caso ha anche vinto il premo intitolato al principe degli scrittori italiani del genere, Giorgio Scerbanenco. Ed è un signor romanzo giallo, en passant. Ma giudicate se non rientri legittimamente, sebbene solo tangenzialmente, in questo elenco: lo scenario è quello storico dell’Impero Romano regnante Tiberio; gli attori, quelli storici dell’epoca, compreso il Gesù narratoci nei Vangeli. La povertà di notizie certe in merito consente a Mimmi di elaborare una trama dove sviluppa con ricchezza analitica l’ipotesi di un complotto di grandi potentati affinché la storia di Gesù approdi esattamente agli esiti noti dai testi dei Vangeli… e dunque atti a sviluppare una dottrina che predicando la mitezza dei cuori e la speranza in una vita futura è di fatto utilissima alle strutture di potere di ogni tempo e luogo.


La parte dell’altro (La part de l’autre, 2001)
di
Éric-Emmanuel Schmitt (n.1960)

 In un raffinato alternarsi, come in un gioco di specchi, della storia dell’Adolf Hitler che conosciamo e di un Adolf che è invece stato ammesso all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, Schmitt demistifica con rara intelligenza la mistica dell’orrore disumano del personaggio Hitler per consegnarlo a un orrore molto più concreto, autentico, umano. E in definitiva molto più terribile. La crudeltà è dentro ciascuno di noi, e sta a noi non farcene travolgere; né cercare giustificazioni esterne alla normalità, alla banalità della nostra natura umana, per quello che riusciamo a fare, con noncuranza, ai nostri simili.


Gli anni del riso e del sale (The years of rice and salt, 2002)
di
Kim Stanley Robinson (n.1952)

 La Grande Peste del XIV secolo non si è limitata far fuori una parte rilevante della popolazione europea e ha invece spazzato via la civiltà del continente con praticamente tutti suoi abitanti. La cultura islamica (che già allora mostrava qualche segno di involuzione) si espande naturalmente, e con essa la zona di influenza del buddhismo. Robinson, autore pressoché ignorato da quella provinciale editoria che è l’editoria fantascientifica italica, descrive il sorgere e tramontare di nazioni, popoli e culture mai nate, e nel suo ciclopico affresco, come è naturale per uno scrittore complesso e mai banale quale è, indaga con grande cura i temi più importanti del vivere dell’uomo e della sua storia.

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