lunedì 22 marzo 2010

[fantascienza] La miniatura - Gioco da bambini (Playing for Keeps - 1982) di Jack C. Haldeman II (1941-2002)

Poche pagine, una cosa minima apparsa nel 1982 sull'Isaac Asimov's  Science Fiction Magazine e lo stesso anno prontamente presentata in Italia nel n.11 della versione italiana della rivista (incarnazione SIAD).  Un lavoro come dozzine, probabilmente centinaia di altri simili. Un ottimo prodotto professionale, scritto con uno stile semplice e diretto, asciutto e brioso, ammiccante il giusto a un umorismo "evoluto". Ritmo svelto, azione rapida e due, tre personaggi schizzati efficacemente in poche parole. Il breve racconto di uno del mestiere, che il mestiere lo ha imparato bene. E ne trae un breve e sentito inno all'infanzia e alle sue risorse di fantasia. Il giovanissimo protagonista è un monello come migliaia e migliaia di altri di un'America descritta come ancora non del tutto televisivizzata: un monello che come (molti tra) i suoi simili ha un'immaginazione a dir poco fervida, una sana propensione a uno scarso rispetto delle regole genitoriali temperato da un solido buon senso, e una ovvia fascinazione per i mostri. Quei mostri che da sempre popolano le nostre fantasie di bambini, mostri temuti e amati; combattuti e tenuti vicini; terrorizzanti e seducenti. Mostri che divertono come poche altre cose; perché fanno provare il brivido eccitantissimo della paura. E l'autore, da vero professionista, descrive tutto questo con incisività, un'efficacia che deriva da quella scrittura ammiccante padroneggiata con sicurezza. 


I mostri qui sono alieni brutti e cattivissimi che invadono la Terra, spianano città, massacrano a destra e a manca: c'è il ricordo preciso del Wells de La guerra dei mondi e una prefigurazione di Mars attacks!. Massacra di qua e massacra di là, uno degli orridi gigantoni arriva al cospetto del nostro monello. Che dell'invasione nulla sapeva perché papà e mamma avevano ritenuto non doverlo informare per non farlo preoccupare (da antologia i dialoghi tra i due). Ma per il nostro monello gli alieni sono vecchie conoscenze; e non ha importanza che tale conoscenza sia puramente di fantasia o reale: lui conosce - e riconosce - d'istinto il nemico. Lo comprende. Intimamente, in modo per noi a-logico ma non per questo privo di efficacia ed efficienza. Non occorre entrare in dettaglio: il bambino porta la sua sfida al mostro - stile mezzogiorno di fuoco - sul piano della fantasia e della mancanza di logica. Per noi: dal punto di vista di un bambino di otto anni la logica appare ferrea. E risolutiva. Rispediti a casa loro con le pive nel sacco i mostri, il nostro protagonista riprende i suoi giochi e i suoi voli pindarici di moccioso da dove li aveva interrotti; e torna a roderlo l'orribile tarlo: le pannocchie alla crema che la mamma porterà in tavola. E per fortuna non sono previsti i cavolini di Bruxelles.


Poche pagine di buon mestiere, come dicevo. C'è però qualcosa che rende questo racconto meritevole di una maggiore attenzione rispetto a tanti altri non dissimili. Quel qualcosa che a volte si incontra inavvertitamente tra le pagine di un racconto o di un romanzo, quel di più che l'autore stesso non intendeva inserire o non è cosciente di avere inserito. Come deve essere qui il caso: difficilmente l'intento di Haldeman sarà stato diverso dallo scrivere un raccontino divertente sul classico rapporto tra bambini e mostri e sui grandi voli di fantasia dell'età infantile; e ne viene fuori un bel racconto dalla parte dei bambini. Tuttavia, come affermavo, magari senza volerlo ci mette dentro anche dell'altro: succede che le opere dicano più e differentemente di quanto i loro autori scrivano. Dalle scene, così semplici nel loro umorismo, nelle quali i genitori del nostro bambino si piazzano davanti alla tv per seguire l'evolversi dell'invasione aliena emerge un ritratto fedele e corrosivo del rapporto tv/spettatore. Un ritratto terribile, perfino spietato; che mostra la confusione totale tra il reale e il televisivo; l'assuefazione che il linguaggio e l'immagine televisiva inducono nello spettatore, fino all'anestesia delle emozioni attraverso la resa fittizia della realtà. Che il bimbo sia più arcaico dei suoi genitori o sia invece oltre, è lui a essere salutarmente immune dagli effetti del contatto con la temibile scatola da immagini (fin quando non crescerà, temiamo), perché per lui reale è immaginario, e immaginario è reale. Non credo, ripeto, che l'intento fosse di compiere una tale analisi/denuncia: l'obiettivo era se mai di creare delle situazioni divertenti inserendovi delle gag efficaci - ed è un obiettivo raggiunto. Ma all'occhio del lettore, forse proprio per l'efficacia della scrittura, le scene assumono con immediatezza questa doppia veste, e si resta ammirati per l'economia, la sintesi con la quale viene a riassumersi nella sua integrità un fenomeno tanto complesso e di rilievo. 


Jack C. Haldeman II era il fratello maggiore di Joe, uno dei big della fantascienza. Biologo di professione, affiancò al lavoro di naturalista quello di scrittore e ha al suo attivo un centinaio di racconti e diversi romanzi. Non è stato un nome di grande spicco a sua volta, ma era un professionista, e capace di tirar fuori il colpo d'ala.

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