venerdì 4 giugno 2010

I contemporanei – Nel Grande Rift di Miranda (Into the Miranda Rift - 1993) di G. David Nordley (n.1947)


Gerald David Nordley ha esordito come narratore nel 1991, ormai quasi vent’anni fa. Americano, laureato in fisica, è stato ufficiale dell’aviazione militare USA occupandosi di ingegneria delle comunicazioni, comunicazioni satellitari e sistemi di propulsione per i mezzi astronautici. Una volta in pensione, oltre alla saggistica tecnica e scientifica ha cominciato a scrivere fantascienza, dimostrandosi da subito un eccellente autore di hard sf, e particolarmente versato nelle storie di esplorazione e colonizzazione planetaria e dello spazio: in genere scrive narrativa utilizzando il nome G. David Nordley, e la saggistica come Gerald D. Nordley.

La sua non vasta fama, tanto più in Italia dove credo sia davvero noto a pochi, può essere dovuta al fatto di venir identificato in modo stretto con la rivista Analog, sulla quale ha pubblicato gran parte dei suoi lavori e il cui tipo di fantascienza ha interpretato con esattezza e accuratezza; ma ritengo che la causa principale risieda nel fatto che la produzione di Nordley si compone di soli racconti e novelle (di cui in Italia è giunta una assai sparuta scelta), e appena alla fine dello scorso anno egli ha pubblicato il suo primo romanzo.

Nel Grande Rift di Miranda, che fu finalista sia al premio Hugo che al Nebula nella categoria della novella, è un saggio davvero perfetto della sua fantascienza, e un superbo esempio moderno di racconto di esplorazione planetaria.

Con uno stile senza fronzoli, quasi da rapporto scientifico, ma che intesse di brevi incisi narrativi nei quali esplora – o meglio schizza con efficacia – i caratteri e le motivazioni dei suoi personaggi, Nordley trasporta il lettore in uno scenario a un tempo da incubo e da sogno; sogno che è da intendere come l’effetto del sense of wonder vecchia maniera dal quale viene investito. La novella si apre nel mezzo dell’azione, nelle viscere di Miranda, la più interna e piccola delle lune giganti di Urano. Un grande sasso siderale, nato dallo scontro e dalla fusione di oggetti più piccoli, il cui interno è tutto percorso da fratture, canyons e rifts, grandi e piccole caverne. Un lontano discendente della Terra verniana del Voyage au centre de la Terre, che del resto l’autore cita espressamente come fonte di ispirazione. I quattro protagonisti del racconto, due uomini e due donne impegnati in una missione di esplorazione geologica e speleologica dell’interno del satellite, si sono appena ritrovati tagliati fuori dalla superficie di Miranda a causa di un terremoto inusualmente violento che quasi li ha seppelliti, e debbono affrontare la prospettiva di una risalita per decine di kilometri. Ammesso che sia possibile.

Nella cronaca diaristica dello scrittore del gruppo, Wojcech Bubka, si dipanerà dunque il racconto di questo viaggio in condizioni estreme, nel corso del quale ciascuno dei personaggi dovrà confrontarsi con le proprie debolezze, i propri fantasmi - e rischiare la dannazione. Ma soprattutto, nella migliore tradizione della fantascienza campbelliana, ciascuno di loro scoprirà le risorse più nascoste e nobili del proprio animo, quelle che forse neppure sapeva di possedere.

La prosa di Nordley è ingannevolmente lenta; a tratti sembra sonnacchiosa, per poi repentinamente precipitare nel dramma i personaggi e con essi il lettore. E’ in questa prosa pacata, piana, eppure maestosa, che Nordley descrive quell’ambiente naturale da incubo che è il cuore fessurato, spezzato e in continuo sommovimento tellurico di Miranda. E’ a questa natura estrema che sono costretti a lanciare la loro sfida di sopravvivenza Wojcech e i suoi compagni: il geologo Nikhil Ray, il medico e moglie di questi Cathy, e la fidanzata di Wojcech, l’esperta speleologa Randi Lotati.

Nel corso del racconto delle tre settimane di una vera e propria odissea prometeica, Nordley dà mostra della notevole abilità con la quale è in grado di modulare azione, approfondimento scientifico, calde emozioni umane, e un robustissimo senso del meraviglioso. Il racconto può apparire – inevitabilmente – claustrofobico, con quelle descrizioni di strettoie terribili, feritoie attraverso le quali i corpi umani faticano a passare, ossa che vengono frantumate dalla fragilità causata dalla quasi assenza di gravità e dalla pressione della roccia. Per poi approdare alla descrizione di fenditure infinite, che attraversano kilometri di quella stessa roccia giungendo fino alla superficie del satellite. Una narrazione suggestiva, a volte non facile da seguire perché irta di inserti scientifici che rimandano con la mente alle (migliori) prove di Hal Clement, uno dei decani della sf e autentico maestro di quella più legata all’estrapolazione scientifica. Ma una narrazione che coinvolge per quella danza tra angoscia e sollievo che è in grado di realizzare; per quel turbinare di emozioni. Così come i rapporti tra i quattro protagonisti sono sottoposti a uno stress analogo, e le condizioni estreme che sono costretti a vivere (e con-vivere) si traducono in una collaborazione tanto sofferta e dura quanto anche animata da quella contraddittoria generosità e solidarietà di cui gli esseri umani sanno dar prova. E non a caso questo loro rapporto si concluderà in qualcosa che può apparire più o meno dell’amicizia a seconda dell’occhio di chi guarda; ma in definitiva è diverso dalla “semplice” amicizia.

Sarà ugualmente questo tremendo viaggio nel quale ciascuno di loro ferirà e salverà ciascuno degli altri a far trovare a Nikhil e Cathy una chiave per non distruggere il loro rapporto di coppia e sé stessi con esso; e a Wojcech e Randi per instaurare un vero rapporto. In questa dolorosa catarsi perverranno a sciogliersi e risolversi i sensi di colpa rimossi e mal cicatrizzati di Randi e Cathy, il sadismo (in)confessato di Nikhil e il suo bisogno di rivalsa intellettuale e sociale, l’opportunismo e il senso di inadeguatezza di Wojcech.   

E’, da tradizione, una fantascienza che chiude sui toni dell’ottimismo. L’uomo trionfa (diversamente dall’alieno: i quattro scoprono nelle grandi cavità interne di Miranda i corpi e i resti di una spedizione aliena vecchia di oltre duecentomila anni, e non così fortunata come sarà la loro). Ottimismo e trionfalismo però differenti da quelli di qualche decennio addietro. La differenza è data dal tono così realistico, dall’eroismo descritto in modo tanto crudo; ma è soprattutto il senso di una responsabilità che non può essere scansata a marcare la distanza. Ognuno dei quattro protagonisti, Randi, Cathy, Nikhil e il loro cantore Wojcech, finirà semplicemente per soccombere al “dovere” di sopravvivere in qualche modo. E quindi sopravvivrà. Ognuno di loro vi riuscirà uscendo dal proprio isolamento per far gruppo, trovando fuori di sé l’ultima parte di risolutezza necessaria a non soccombere; questa volta non a un dovere, ma al Grande Rift di Miranda. 

Edita in origine sul fascicolo del luglio 1993 di Analog, la novella è stata pubblicata in Italia sul numero dell’inverno 1995 (il terzo) dell’edizione nostrana della rivista, edita dalla Phoenix e purtroppo durata in tutto cinque numeri. La cura editoriale e la traduzione sono obiettivamente abbastanza carenti.

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