martedì 9 novembre 2010

Precursori – La giornata di un giornalista americano nel 2890 (Au XXIXe siécle ou La journée d’un journaliste amèricain en 2890 – 1889/1891 [a volte la data nel titolo è il 2889]) di Jules (1828-1905) e Michel Verne (1861-1925)


Pubblicato la prima volta nella sua traduzione inglese nel febbraio del 1889 sulla rivista americana The Forum, e solo nel 1891 in Francia a seguito di una lettura pubblica fattane da Jules Verne, questo racconto apparve a firma appunto del solo Jules, ma anche in base al carteggio dello scrittore con il suo editore francese Hetzel, oggi si riconosce in genere che la prima stesura di esso sia dovuta al suo unico figlio maschio Michel (per altro spesso indicato come il vero autore o al minimo co-autore dei romanzi postumi di Jules), sul testo del quale Jules sarebbe poi intervenuto rivedendolo estesamente. Una collaborazione così precoce tra il freddo e problematico padre (che era stato problematico figlio di un problematico padre) e il suo ribelle e problematico figlio rende molto interessante il racconto all’interno del corpus verniano.

Jules Verne è uno dei padri riconosciuti di quella che poi sarà la fantascienza del XX secolo, e in particolar modo dei filoni più legati all’estrapolazione scientifica e alla dimensione avventurosa, l’azione di veri e propri tecnocrati nella storia. La hard sf, sostanzialmente. Sebbene egli fosse principalmente uno scrittore attentissimo all’attualità scientifica più che all’estrapolazione, sebbene cioè egli inventasse poco in campo scientifico e si limitasse per lo più a portare all’estreme conseguenze la scienza della sua epoca, il ritratto è abbastanza fedele: anche facendo la tara al fatto che egli fosse in primo luogo uno straordinario narratore d’avventura, tra i più abili e capaci di affascinare. Lo scrittore contemporaneo che mi pare gli sia stato più vicino come caratteristiche è Michael Crichton.
Michel e il padre Jules Verne

I migliori romanzi verniani sono a testimonianza di quanto detto: da Michele Strogoff a XX mila leghe sotto i mari, dal Giro del mondo in 80 giorni a Viaggio al centro della Terra. E tra questi, anche quelli che contengono elementi chiaramente fantascientifici seducono e avvincono per la grandiosità avventurosa dello scenario o della concezione, oppure per il magnetismo di un protagonista come Nemo: non è per caso che i romanzi verniani sono pubblicati sotto l’etichetta di Voyages extraordinaires: in primo luogo, appunto voyages. Laddove la freschezza di questi suoi lavori migliori manca, anche il più fantascientifico e visionario dei romanzi di Jules Verne, Hector Servadac, per altro coevo del capolavoro Strogoff, difetta nel trascinare il lettore dalla prima all’ultima pagina.  

E sostanzialmente corretto è anche il modello di un Verne scrittore dell’ottimismo scientifico, cantore delle umane sorti e progressive. Non che Verne fosse cieco o che la temperie dei suoi tempi avesse completamente occupato la sua percezione del mondo, e negli ultimi anni della sua vita l’ottimismo si farà più riflessivo e maturo; più semplicemente non gli veniva meno la fiducia nelle potenzialità umane (certo, dalle potenzialità a ciò che poi l’uomo apparecchia per sé e i propri simili ce ne passa…).

Ecco allora che questo racconto, assai probabile frutto di un “soggetto” del figlio Michel accolto dal padre che lo ha sottoposto a una profonda revisione, costituisce la miglior presa di posizione critica di Jules nei confronti dell’ottimismo scientifico. Critica, non contraria. Jules Verne (attraverso l’ispirazione del figlio) ci appare consapevole come non mai della forza dell’innovazione tecnologica e della sua capacità di mutare la vita dell’uomo, e contemporaneamente consapevole del prezzo che l’uomo paga. E Verne - padre, figlio o padre e figlio che sia – ci appare ben cosciente del carattere di inevitabilità che il progresso (nel bene come nel male, ripeto) ha già assunto in quel 1889 in cui la storia fu pubblicata per la prima volta.

Il testo è comunque scevro di amarezza, e l’acuta consapevolezza della realtà filtra attraverso alcune rappresentazioni iperrealistiche fino alla deformazione grottesca di un entusiasmo per la conquista tecnologica che anticipa l’estetica futurista. Oltre che per alcune stilettate satiriche particolarmente feroci ancorché espresse con una leggerezza aerea:
 - Parfait. Et cette affaire de l'assassin Chapmann ?...Avez-vous interviewé les jurés qui doivent siéger aux assises ?

- Oui, et tous sont d'accord sur la culpabilité de telle sorte que l'affaire ne sera même pas renvoyée devant eux. L'accusé sera exécuté avant d'avoir été condamné...

- Exécuté... Electriquement ?...

- Electriquement, monsieur Bennett, et sans douleur... à ce qu'on suppose, parce qu'on n'est pas encore fixé sur ce détail.

Qui (e altrove) Verne si mostra attento osservatore e cosciente analizzatore dei legami stretti tra innovazione, società, economia, diritto e soprattutto mezzi di comunicazione. Il monsieur Bennett al quale si rivolge l’anonimo interlocutore nella frase qui sopra è Francis Bennett, padrone del più grande impero mediatico mondiale, e attraverso la sua struttura più potente, il quotidiano Earth-Herald (l’accuratezza delle previsioni della sf è un mito privo di rilevanza) è di fatto l’uomo più potente del mondo, presso il quale mendicano attenzione o denaro tutti, dallo scienziato brillante al plenipotenziario delle nazioni straniere al rappresentante delle popolazioni asservite. Bennett è una reificazione del potere quale Verne lo vedeva nel lontano futuro e a noi pare fin troppo contemporaneo: una sorta di Frankenstein che assembla però individui dello stesso genere: da Pulitzer a Hearst – e il Cittadino Kane – fino a Murdoch e Berlusconi. Un Frankenstein benevolo, sia chiaro, che incoraggia gli scrittori al suo soldo che non hanno abbastanza successo a prendere esempio da quelli che sanno dare al pubblico ciò che il pubblico vuole; che decida del futuro delle nazioni sedendo come in una sedia arbitrale dalla quale amministra la giustizia internazionale; che decide del futuro degli individui negando o concedendo il suo appoggio. Un Frankenstein, francamente, che questa lente deformante verniana ci restituisce nella sua sinistra deformità. Una deformità che non è dell’individuo: l’amabilità di Bennett è chiara al di là dell’alacrità da ape bottinatrice che ne fa l’epitome del workaholic. La deformità è del ruolo, della concentrazione di potere che l’uomo racchiude. Incontriamo così qualcosa che ci suona molto, troppo contemporanea: Francis Bennett eut rapidement expédié ceux qui n'apportaient que des idées inutiles ou impraticables. L'un ne prétendait-il pas faire revivre la peinture, cet art tombé en telle désuétude que l'Angélus de Millet venait d'être vendu quinze francs.

A fronte di queste e altre analisi che appaiono – o temiamo siano, come la precedente – profetiche, la miriade di invenzioni azzeccate o meno, disseminate nel corpo del racconto, e per lo più desunte da Robida, ci appaiono come il festoso colore che incornicia e rende più netti e sinistri i contorni di una storia che prefigura un futuro più grigio e problematico della sua copertina e di come la pubblicità sa propagandare. Seppure la sfiori soltanto e la sottostimi anche, l’influenza della pubblicità è chiara a Verne, così come i meccanismi attraverso i quali opera una multinazionale quale l’Earth-Herald; egli scrive: La salle adjacente, vaste galerie longue d'un demi-kilomètre, était consacrée à la publicité, et l'on imagine aisément ce que doit être la publicité d'un joumal tel que le Earth-Herald. Elle rapporte en moyenne trois millions de dollars par jour. Grâce à un ingénieux système, d'ailleurs, une partie de cette publicité se propage sous une forme absolument nouvelle, due à un brevet acheté au prix de trois dollars à un pauvre diable qui est mort de faim.
Jules Verne da giovane

A distanza di centoventi anni dalla sua concezione e pubblicazione questo racconto vede scolorire sempre più i suoi contenuti evidenti e di tutta superficie, quei contenuti che probabilmente fecero la fortuna dello scrittore. Ma vede soprattutto affiorare e divenire sempre più attuali, chiari, concreti e in grado di allungare nel futuro la propria ombra quei contenuti che più apparivano riposare tra le pieghe delle pagine verniane, invitando a una lettura attenta e a una riflessione ancor più consapevole.

Il racconto è leggibile a questo indirizzo: http://jv.gilead.org.il/feghali/e-lib/journee_journaliste_amer.html

7 commenti:

Muasie ha detto...

Temo di non sbagliare dicendo che di Jules Vernes a suo tempo lessi solamente Michele Strogoff e, ancora prima, I figli del capitano Grant.... Quasi un'ammissione di colpa grave, vero? :-P

Vincenzo Oliva ha detto...

Obiettivamente la definirei una colpa capitale :-)

V.

Muasie ha detto...

Sapevo di poter contare sulla tua indulgenza. :-P Pena diminuita se mi impegno a recuperare qualche lettura?

Vincenzo Oliva ha detto...

Puoi cominciare da qui se il tuo francese non è troppo arrugginito ;-)

V.

Yanez ha detto...

Bella recensione, te ne intendi. Una richiesta, come al pianobar: hai letto la trilogia "futura", "distopica", "ucronica" o come si dice, di Ernst Jünger? "Sulle scogliere di marmo", "Heliopolis" e "Eumeswil" sono i titoli. Il secondo e il terzo, pur non essendo fantascienza in senso stretto, hanno degli spunti affini al genere. Un parere? Grazie.

Vincenzo Oliva ha detto...

Grazie. Confesso di non aver mai letto nulla di Junger. Il mio rammarico e rimpianto e' che non basterebbero mille vite per leggere una frazione di quanto e' stato scritto di interessante, ma questo e un suggerimento che cogliero'. Te ne ringrazio.

V.

nairnegabler ha detto...

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