domenica 7 ottobre 2012

I classici – Non avrai altro popolo (For I am a Jealous People! - 1954) di Lester del Rey (1915-1993)




Che il suo vero nome fosse quel Ramon, seguito da una sfilza di altri nomi degni di un Grande di Spagna con una schiatta millenaria sulle spalle, oppure il ben più prosaico Leonard Knapp riferito in una intervista a Locus dalla sorella Sarah che gli è sopravvissuta, “Lester del Rey” è stato un autore di rilievo primario della fantascienza di matrice positivista propugnata con forza da John Campbell sulle pagine di Astounding, principale rivista americana di sf negli anni ’40 dello scorso secolo, da lui diretta per oltre tre decenni, fino alla morte. In seguito, nel corso degli anni ’50, del Rey si affermò come una delle principali firme del campo della sf nella produzione di juveniles, romanzi che oggi si direbbero Young-adult, spartendo la maggior gloria con Andre Norton e Robert Heinlein. Se non vi è dubbio che la gran parte di quelle opere fossero alimentari, come certamente anche molte del periodo precedente, non è meno vero che nei lavori dove volle o poté permettersi di essere più curato, soprattutto racconti e novelle scritti dal suo esordio nel 1938 e nei circa vent’anni successivi, del Rey abbia saputo mostrare una cifra stilistica e di contenuti personale e la capacità di attrarre il lettore con il fascino delle trame avventurose sempre abbinato a un rigoroso stimolo alla riflessione. Nella voce a lui dedicata dalla Encyclopedia of Science Fiction curata da John Clute e Peter Nicholls, Brian Stableford scrive di del Rey che “LDR was a versatile but rather erratic writer who never fulfilled his early promise. His best work appears in the collections (…)”. E l’autore britannico commenta con acume: di rado infatti del Rey parve mantenere quelle promesse (e premesse) poste in alcuni dei suoi primi lavori, in particolar modo Helen O’Loy, scritto agli esordi, che pur presentando le inevitabili ingenuità dell’età in cui fu pubblicato e del tipo di pubblicazione su cui apparve, compresa una decisa coloritura romantica, è ancora oggi una lettura emozionante e in grado di rivolgersi ai sentimenti autentici del lettore. Oppure Nervi, la novella del 1942 poi espansa alla misura di romanzo che rappresenta il miglior risultato narrativo conseguito da del Rey e che narra, con realismo eccezionale per l’epoca, di un incidente in una centrale nucleare.

L'antologia dove apparve la novella in origine
Pubblicato in origine nel 1954, For I am a Jealous People! Fu edito per la prima volta in Italia nel 1965 sulle pagine di una bellissima antologia curata da Roberta Rambelli con altisonante prefazione di Gillo Dorfles, Fantascienza della crudeltà, con l’impeccabile titolo Perché sono un Popolo Geloso. Comparve in seguito nel 1974 nel fascicolo n.653 di Urania (si ometta pietosamente il titolo utilizzato per l’antologia), che presentava in Italia l’antologia personale di del Rey Gods and Golems, che raccoglieva la sua migliore produzione di media lunghezza della prima metà degli anni ’50; questa volta il racconto è pubblicato con l’ugualmente corretto titolo Non avrai altro popolo. Nella “migliore” tradizione della rivista mondadoriana, l’edizione ometteva di pubblicare uno dei cinque lavori presenti nell’antologia originale, Pursuit (leggibile in inglese a questo indirizzo: http://www.gutenberg.org/catalog/world/readfile?fk_files=1635003), secondo un filo d’acciaio che connette la Urania di Fruttero&Lucentini a quella dei nostri tempi nell’attitudine all’uso delle forbici. Le successive edizioni della breve novella manterranno questo titolo fino all’ultima, comparsa di nuovo su Urania (nel fascicolo n.1479) come Perché sono un dio geloso!, titolo fuorviante quanto altri mai, che travisa radicalmente il senso profondo dell’opera in precedenza sempre rispettato: tanto per confermare che se si può far peggio ci si impegna con alacrità.


For I am a Jealous People! è per molti versi un’opera tipica della Golden Age della fantascienza (http://en.wikipedia.org/wiki/Golden_Age_of_Science_Fiction), senza dubbio rispettosa del verbo campbelliano che prevedeva che gli esseri umani (o per meglio dire: gli americani rigorosamente wasp) fossero sempre e comunque in grado di vincere le sfide, le battaglie, i rovesci di fortuna, le imprese impossibili e a ogni modo qualunque avversità il destino proponesse loro attraverso le vicende narrative. E non vi è dubbio che il tipo di avversità che il reverendo Amos Strong, protagonista principale della novella, si trova a fronteggiare è del tipo più arduo: combattere avendo Dio nel campo avversario. Quale che fosse la sfida, gli uomini (americani wasp) di Campbell e dei suoi discepoli più fidati vincevano immancabilmente, per cui non dubitiamo che la sfida finale lanciata dall’uomo di Dio al suo (ormai ex) dio e al popolo eletto di questi, gli alieni invasori e sterminatori, sarà coronata da successo. Una variante potrebbe sempre essere quella della gloriosa soccombenza in stile Alamo: poco importa che il mito di Alamo sia autentico quanto una moneta da tre euro; e in ogni caso si ricordi che, DOPO, a Santa Ana gli abbiamo fatto un mazzo così. Ma sebbene del Rey non narri l’esito finale del confronto, crediamo vi sia ben poco spazio per uno diverso dalla vittoria umana (americana wasp).

L’elemento religioso ricorre in più di una delle migliori opere dell’autore americano - anche nell’antologia Gods and Golems -, compreso quello che probabilmente è il suo miglior romanzo: L’undicesimo comandamento, pubblicato nel 1962, a sostanziale chiusura del periodo creativamente felice e abbondante della sua produzione. Nella novella in esame come nel romanzo, del Rey sa miscelare sapientemente gli aspetti più tipicamente avventurosi e di intrattenimento con un’acuta azione di stimolo alla riflessione sui temi teologici e di coscienza che getta in campo, e senza che l’uno aspetto soverchi mai l’altro. Il riferimento a Kant che Amos fa (“Quindi agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua propria persona che in quella altrui, in qualunque caso, come un fine e assolutamente mai come un mezzo.”) non stride con la trama di una feroce, apparentemente insensata, invasione aliena: è anzi essenziale per comprendere lo sviluppo del personaggio e per inquadrare concettualmente la novella.

Nell’economia della breve novella di cui si tratta, la necessità di porre in modo succinto le questioni attinenti alla tematica religiosa non inficia minimamente l’efficacia del lavoro dello scrittore americano. Paga se mai egli lo scotto di una certa rozzezza stilistica, o meglio della brutalità con cui deve comprimere e sollecitare il suo personaggio a compiere rapidamente l’evoluzione – e anzi la rivoluzione – copernicana del suo spirito e del suo modo di essere, della sua personalità profonda. A onta di questa necessaria brutalità, del Rey è tuttavia abile a mostrare ogni sottigliezza del lavoro corrosivo che il dubbio suscitato dall’osservazione della realtà e dal contatto con lo stesso Dio, “traditore” del suo ex popolo, compie nella psiche e nell’anima di Amos Strong. Novello Giobbe, ma che infine rifiuta lo schema psicologico che riteneva Dio avesse scelto per lui – che Amos si era costruito per sé, insieme alla immagine di un dio fatto a propria immagine - , quest’uomo pio e sottomesso al verbo di Dio, ma pur ammantato sempre di una dolente e nobile dignità, giungerà nel finale della novella a pronunciare il programma (campbelliano ;-)) della guerra contro gli avversari dell’uomo (americano wasp): “Dio ha denunciato l’antico patto e si è dichiarato nemico dell’umanità – disse, e la chiesa risuonava al rombo della sua voce. – E io vi dico che egli ha trovato un valido antagonista.

Che del Rey ne fosse consapevole o meno (e probabilmente lo era eccome), in tal modo il reverendo Strong veniva anche a chiudere il cerchio, specularmente ritrovando la pienezza della sua quasi esaltata fede giovanile in Dio in tale ispirata opposizione allo stesso Dio. Minor successo ha forse l’evidenziazione del percorso interiore che trasforma l’un tempo ardente e ormai intiepidito predicatore in un profeta carismatico: qui lo spazio narrativo risulta eccessivamente tirannico. Tuttavia l’autore compensa la pochezza analitica con la vividezza emotiva con la quale descrive la (ri)presa di coscienza di Amos: “Amos passò il resto della giornata nella casa dove aveva trascinato il cadavere di Doc. Non andò nemmeno in cerca di cibo. Per la prima volta in vita sua, da quando gli era morta la madre, a cinque anni, non aveva protezione contro il dolore. Non l’amara convinzione che si fosse fatta la volontà di Dio a consolarlo della perdita di Doc. E, rendendosene conto, sentì anche l’acuto dolore per le altre perdite dolorose, come se fossero anch’esse avvenute insieme con la morte di Doc.” Lester del Rey lascia sempre al lettore il suo libero arbitrio, si residua lo spazio del dubbio, tuttavia la sua scelta di campo appare razionale. O quanto meno lo sono le scelte di campo dei suoi personaggi, Amos Strong compreso.

La vividezza cromatica delle emozioni non resta concentrata nel solo reverendo; pur nell’economia della necessità di farne giganteggiare la figura, del Rey si dimostra professionista particolarmente smaliziato nel dipingere con rapide pennellate dei personaggi di contorno credibili e in grado di andare oltre la pura funzione di mascherine e cliché. Non solo il “Doc” della citazione qui sopra, il dottor Alan Miller, figura assolutamente stereotipa del medico condotto dell’America profonda di parecchi decenni fa (l’azione si svolge in un Kansas agricolo, perfettamente aderente a quello dell’epoca in cui la novella è stata scritta) e che pure diviene materiale narrativo caldo e vivo sotto la penna di un del Rey in grado di fornire tridimensionalità al personaggio con pochi indizi sparsi ad arte. Anche figure del tutto minori come la sartina e improvvisata organista di chiare origini italiane Angela Anduccini saltano all’occhio del lettore per la chiarezza con la quale pare di poter sbirciare nel suo animo. Mestiere, senza dubbio, ma mestiere ispirato. La capacità, anche, di saper spingere i tasti emozionali del lettore con sobrietà, come del Rey mostra nelle scene delle varie morti che toccano e infine travolgono la vita di Amos: sua moglie Ruth; il cane del figlio; sua nuora Anne; infine il dottor Miller, l’amico di tutta la vita.

Leggendo la fantascienza di parecchi decenni addietro si è sempre assaliti da un senso di fortissimo anacronismo. Personalmente è un sentimento di commosso calore quello provo. Nell’era del trionfo della Rete e della comunicazione planetaria immediata è affascinante vedere all’opera l’antica fantasia dei maestri del passato che non si peritavano di costruire basi lunari, narrare di invasioni aliene, far sfrecciare razzi futuribili nei cieli; e poi passavano attraverso una centralinista umana per mettere in comunicazione due abitazioni di un paesotto del Kansas rurale. Con tutto ciò, il senso profondo di opere come questa non risente in minima misura di tale effetto straniante. E’ degli eterni interrogativi dell’anima umana, dei tormenti e delle risoluzioni interiori che lacerano lo spirito umano, che parla la novella di del Rey. E il tempo che passa e rende sempre più lontana la sua apparenza esteriore non fa che avvicinarci la sua sostanza autentica, distillandola. E’ quanto fa di un lavoro professionale un capolavoro.

Quasi trent’anni dopo la pubblicazione di For I am a Jealous People!, Raymond F. Jones, un veterano i cui esordi letterarii precedevano quello di Lester del Rey scrisse un romanzo liberamente ispirato alla novella. In Italia venne pubblicato da Urania con il titolo di Alieno in croce (sempre benedetta sia la brillantezza dei curatori uraniani nella scelta dei titoli), a firma congiunta di Jones e del Rey.

2 commenti:

S_3ves ha detto...

Ciao, grazie di aver ricordato così vividamente Lester del rey. Amo la sua attenzione ai temi teologici (forse a causa della mia frequenza scolastica in una scuola religiosa e di una evoluzione personale verso il più completo e convinto agnosticismo). Ho letto e apprezzato tutti i titoli che hai presentato ma credevo di essere un po' una mosca bianca; grazie.

Vincenzo Oliva ha detto...

Ti ringrazio dei complimenti :-). Del Rey è un autore che anche io amo e apprezzo. Come decine di altri a onor del vero :-). Quanto al tuo percorso scolastico ed esistenziale è stato anche il mio.

V.