domenica 12 gennaio 2014

I contemporanei – Cumhu, oltre la soglia dell’ignoto (2013) di Giovanni De Matteo (n.1981) e Andrea Jarok (n.1970)

Giovanni De Matteo
Pirati spaziali; profeti dementi; divinità misteriose, crudeli e remote; pianeti sperduti agli estremi confini del Sistema Solare; antiche civiltà terrestri nascoste dalle nebulose dei millenni trascorsi, e seducenti nel loro manto di conoscenze arcane e leggendarie; esperienze visionarie; stati di coscienza alterati (e alterabili); potenti, oscure, sibilline sostanze psicotrope; commistioni tra piani temporali disparati; viaggi spaziali su astronavi guidate da Ragazze Iperluminali, astronavi che paiono fuoriuscite da ingiallite pagine hamiltoniane; mirabolanti viaggi temporali attraverso la mente e la coscienza; scambi mentali e identitari tra siderali deità e umani, tra umani e metamorfici esseri-chimera che provengono dritti dall’ibridarsi di mitologie esotiche e mitologie immaginarie; il ’68, la contestazione, la Beat Generation, l’estetica on the road, sfiorando le marginalità a stelle e strisce. Poi la Consapevolezza Terminale; la chimica della trascendenza; la morte della morte; il tempo che può finire; l’apocalisse-epifania che tutto conclude e tutto riavvia. Lovecraft, inevitabilmente (e giustamente) Lovecraft; e William Burroughs: citati e richiamati implicitamente ed esplicitamente.

Un’abbuffata, in qualche modo: un coagularsi, precipitare, implodere e poi riesplodere di
Andrea "Jarok" Vaccaro
mille e mille ingredienti disparati. Un’affastellarsi di suggestioni; immagini; rimandi; citazioni; omaggi; idee; sensazioni; evocazioni; visioni; allucinazioni. Lovecraft, inevitabilmente e giustamente: il racconto è apparso sul numero 1 di Hypnos, il cui sottotitolo recita: rivista di letteratura weird e fantastica, e che del vate di Providence ospita, tanto per stare sul pezzo, proprio il racconto del 1922 Hypnos. Ma inevitabilmente anche Burroughs, il poeta dei meandri allucinati della mente. Un’abbuffata di colori e sapori; un’abbuffata di parole usate come fini prima che come mezzi: usate per il loro suono; per il loro concatenarsi le une con le altre; per la magia del loro richiamare immagini nella mente del lettore dalla sua memoria. Un racconto che è una pietanza di mille e mille sapori forti, fortemente speziati e spesso dissonanti; un pastiche la cui degustazione impone di lasciarsi affascinare dal suono delle parole e di lasciarsi indurre a richiamare le immagini sepolte nella propria memoria. Una pietanza, un pastiche goticheggiante che opera consapevolmente la scelta della ridondanza: di termini, di visioni, di rimandi e memorie. E con la ridondanza, l’eccesso: Una trasfusione di Eternità: per eseguirla, il solito ago. Nudo, sprofonda nella pelle improvvisamente accogliente, si concede alla carne e disseta la vena. Di lì risale il flusso circolatorio fino al cuore e riparte a velocità di curvatura in arterie sussultanti – gallerie organiche dalle diramazioni frattali, senza fine – sospingendo la forza delle parole, concludendo al termine di una scorribanda psichica durata mille eoni e una pulsazione e mezza la sua Ultima Evocazione. Ecco, per dire. Un intento ludico (anche ludico) emerge chiaramente, insieme al piacere della scelta delle parole per l’effetto che avranno, per il sovraccarico sensuale e sensoriale che produrranno nel lettore.

Hypnos rivista n.1
L’opera letteraria in generale, e un breve racconto in particolare, non ha bisogno di altro che la propria bellezza per giustificare stesura e lettura; e ciascuna opera fonderà la propria bellezza (se la fonderà…) su basi diverse - che esse abbiano fondamento nella preziosità linguistica, nella profondità dell’analisi psicologica dei caratteri, nell’arditezza della speculazione sul futuro, nella puntualità dell’analisi sociologica o politica del presente. O qualunque altro sia il fondamento della bellezza dell’opera, quel quid che la rende meritevole di memoria, anche soltanto una fugace memoria. Al di là del gioco, della lingua lussureggiante che ne costruisce l’impianto gotico e l’identità di omaggio ai capisaldi della fantascienza weird; al di là della piacevolezza estetica che con la sua rincorsa all’eccesso e all’ipertrofia verbale e fantastica solletica il gusto della lettura; al di là del puro gusto di leggere parole e ascoltarne il suono nella propria mente, il racconto di De Matteo e Jarok si lascia ricordare volentieri anche per il suo finale. Forse principalmente per il suo finale. Un finale che è al contempo disperato e aperto alla speranza; che pare perduto nella contemplazione di stilemi e visioni di una letteratura fantastica slegata da ogni realtà e al contempo disvela, e narra, la realtà del mondo di oggi attraverso i bagliori di un’allegoria fantastica ma dai risvolti assai concreti. Nell’epifania e poi apocalisse finale del Capitano Nero, nato dall’uovo nero che aveva attirato a sé Cumhu, il Ragazzo-iguana e Xolotl, il Ragazzo-salamandra, imperfetti custodi e profeti di saggezza, è possibile scorgere l’immagine di quel consumismo che impera e che tutto divora: le risorse della Terra, il piacere e il gusto della bellezza, il tempo della vita e le risorse spirituali e fisiche degli esseri umani. Finanche l’anima stessa degli esseri umani. Sono saggi Cumhu e Xolotl. Sono sagge le parole di Cumhu: La vostra morte è un organismo che voi stessi create. Se lo temete o vi prostrate davanti a lui, l’organismo diventa il vostro padrone; sono sagge le parole di Xolotl: La morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola per parola. Poco prima, l’abominio evocato dal Capitano Nero aveva apportato una prima ondata di morte e distruzione. Ma come tutta la saggezza che la nostra civiltà ha prodotto almeno dai tempi di Omero in poi ci appare imperfetta se non riesce, come non riesce, a renderci davvero consapevoli della spirale di distruzione a cui va conducendoci la foia consumistica, così le parole di Cumhu e Xolotl non evitano la distruzione finale operata dal Capitano Nero. Così come oggi la sola risposta rimasta, sempre più spesso, appare quella individuale e individualistica di rifiuto e ripulsa della spirale consumistica; allo stesso modo la fuga individuale di Cumhu e Xolotl verso il pianeta Yuggoth, là dove il nastro del tempo tornerà ad avvolgersi e svolgersi circolarmente, riavviando il ciclo degli eventi, appare una via di salvezza autistica. 

Eppure proprio laddove il Fato, inevitabile, sembra il vero vincitore è forse opportuno
Hypnos rivista n.2
rammentare meglio le parole di Xolotl: La morte è anche un organismo proteiforme che non si ripete mai parola per parola. Ciò che è stato, non necessariamente sarà. E questa è una lezione che vale la pena ricordare quando ci sentiamo sconfortati e scavalcati dagli eventi che accadono attorno a noi; è una lezione valida anche, e soprattutto, per la Storia con la “S” maiuscola e non solo per una storia narrata su una rivista. A un breve racconto si chiede di divertirci, di avvincerci con le parole, di fornirci uno stimolo per la mente. Si chiede di aprirci una piccola finestra su noi stessi o sul mondo. Oppure sull’arte. Il racconto di De Matteo e Jarok ci riesce.

Antichi e malvagi dei di dimenticate cosmologie arcane; visioni ai confini e oltre i confini del misticismo; esperienze e percezioni allucinatorie; mostri la cui deformità è spirituale prima che fisica; esseri proteiformi e mutaforme; uomini che si trasformano in dei; sentenze criptiche ed esoteriche; civiltà antiche e civiltà fantastiche: è ancora fantascienza? Lo è certamente, una fantascienza pura sebbene ibridata, pura perché ibridata. Sin dalle origini la fantascienza si è bagnata anche nei mari della letteratura dell’orrore come della letteratura fantastica in generale. 

Hypnos fanzine n.9
Da Mary Shelley in poi, a partire dai precursori e i primi esponenti di quella modalità letteraria che avrebbe preso il nome di fantascienza, semplicemente si è fatta letteratura, con ogni materiale a disposizione di uno scrittore. Come sarà per i dichiarati numi tutelari di questo racconto. Lovecraft, le cui opere più fantascientifiche sono capisaldi di una fantascienza dal respiro cosmologico e dall’anima piantata nelle profondità delle pulsioni e paure e aspirazioni umane: fantascienza appunto. Burroughs, tra i primi a coniugare lo sperimentalismo letterario e i topoi della fantascienza di genere, esplorando quello spazio interno che poi Ballard avrebbe introdotto come concetto in fantascienza (http://it.wikipedia.org/wiki/James_Graham_Ballard) e di cui, con lo stesso Ballard e con Philip K. Dick fu il principale esploratore.

Ancor giovane, Giovanni De Matteo, oltre a essere tra i fondatori della corrente letteraria italiana del Connettivismo (http://it.wikipedia.org/wiki/Connettivismo_(letteratura) è già un veterano della fantascienza italiana, con all’attivo svariati racconti e un romanzo che diversi anni fa gli fece vincere il Premio Urania. Andrea Jarok è a sua volta attivo da moltissimo tempo in campo fantascientifico, principalmente come saggista e in ambito editoriale. Hypnos, la rivista, è la diretta filiazione dell’omonima fanzine attraverso l’omonima casa editrice (http://www.edizionihypnos.com/index.htm).